giovedì 25 novembre 2010

Ho aperto gli occhi e ho creduto di essere stata incollata su un enorme pacco postale.


Cercolavoro.

24 anni.Laurea con lode.Nessuna esperienza lavorativa.Donna.Italiana.

Le definizioni partono a raffica,in ordine di importanza,di “utilità”.Le prime sono scritte in grassetto,impugnando la penna con fermezza,a mo’ di scalpello. Le ultime si presentano con una grafia meno chiara,incerta.Come se dovessero nascondere l’intima consapevolezza che, per ricevere un minimo di considerazione,l’esser donna (e italiana),possa essere  l’etichetta che pesa di più,quella da scrivere in minuscolo,quasi per volerla omettere,sperando che nessuno arrivi a leggerla.

Ieri mi hanno comunicato che devo lasciar libera la camera,prima possibile. Non posso più permettermela. Il prezzo d’affitto è nuovamente lievitato. La sesta volta in 5 anni. Il lavoro al pub non è sufficiente. Ci sono troppe spese da affrontare.Con quei soldi ci pago solo cibo,bollette e spese condominiali.La mia famiglia non può più aiutarmi.La piccola salumeria di mio padre sta per chiudere.Troppi debiti sulle spalle.Troppe tasse.Pochissime entrate.

Ho cercato di inviare ovunque il mio Curriculum vitae. Ho sostenuto colloqui ininterrottamente e per qualsiasi lavoro.  Al giorno d’oggi,una laurea in lettere e filosofia non ti permette di avere alcun pregiudizio circa una possibile occupazione (rigorosamente a tempo determinato,spesso in nero). Non puoi essere esigente. Le leggi di mercato ti hanno già tagliato fuori. Pare che persino il posto come commessa in una catena di alimentari mi sia precluso. “Lei ha troppe competenze”. “Lei non ha competenze”. “Lei non ha le caratteristiche che stavamo cercando”. “Lei non ha esperienza”. “Lei è troppo giovane”. “Cercavamo un uomo”. Queste voci fanno da protagoniste dei miei incubi notturni,quando riesco a chiudere gli occhi per meno di un’ora. E mi sento persino fortunata,perchè per un’ora riesco a far tacere la mia voce,che recita pensieri ben più angoscianti.

Ero riuscita a trovare un posto momentaneo in un call center. Dovevo sostituire per un mese una mia amica. Ho perso anche questa possibilità. Hanno fatto dei tagli (la terza volta in tre mesi),licenziando 20 ragazze,giudicate dai “capi” dell’azienda “inutili ai fini della richiesta attuale”. D’altronde,chi accetta un lavoro come questo,vive costantemente con la paura di esser chiamata,a fine giornata,dal capogruppo. Una chiamata che significa solo un lapidario “qui non è più utile.” Senza un minimo di preavviso. Senza la forza di reclamare i tuoi diritti.Perchè se ti scoprono a parlare con qualche esponente di un sindacato locale,ti buttano fuori a calci in culo,senza beneficio di replica. Nessuno è disposto a perdere,prima di giocarsi da sé la propria chance. Ed ecco che il mercato di esseri umani,ridotti heideggerianamente a “fondo”,ha inizio. Tutto si spersonalizza. Le scrivanie non ospitano più alcuna foto,alcun oggetto identificativo,alcun ricordo di chi ha vissuto lo stesso inferno di te. Tutto è immacolato. Perfettamente in ordine. Come se si volesse accentuare il senso di alinenazione,di mancanza.  Mancanza di te. Della tua vita. Della tua dignità. Perché prima di essere utile a qualcuno o qualcosa,sei un essere umano. Ed è soprattutto questo che ti viene negato:non hai più il diritto di essere un uomo. Ma cos’è l’utilità? Non riesco a trovare una definizione davvero valida. Non riesco nemmeno a concepirla in termini concreti. Mi sembra solo il fantasma di un capitalismo feroce. Un fantasma con artigli e zanne.Un fantasma che ferisce,che aggredisce,che sbrana.Che uccide.

Ho appena ricevuto una telefonata dal docente che mi ha aiutato con la stesura della tesi. Dalla sua voce trapela un evidente entusiasmo . Mi commuove. Non ricordo più da quanto tempo non percepivo entusiasmo,parlando con qualcuno. Negli ultimi tre anni, lo spirito delle mie conversazioni  si è anestetizzato sempre di più,amputato di sogni e illusioni. Ascolto ciò che ha da dire,ma le sue parole di speranza non mi toccano. Non riesco a farne esperienza in me.Non riesco più ad attivare la mia volontà senziente.

Dice che la mia tesi è piaciuta a molti. Dice che può mettermi in contatto con un suo amico,docente universitario,da anni negli Stati Uniti.Dice che si tratta di un’opportunità unica,da non lasciarsi sfuggire:mi servirà per accumulare punteggio.

Ringrazio e prometto di richiamarlo o di raggiungerlo direttamente in facoltà,per discutere bene ogni punto,per analizzare i pro e i contro,anche in termini economici. Per farmi ripetere nuovamente il luogo di destinazione,in modo da scriverlo su  quell’enorme pacco postale al quale mi incollerò,insieme alle mie disillusioni,insieme alla mia inesperienza,insieme ai miei dubbi,insieme alle mie paure,insieme al nostalgico profumo di uno sorriso di mio padre.

24 anni. Laureata con lode.Senza esperienza.Donna.Italiana.

sabato 25 settembre 2010

Parla piano e poi 
non dire quel che hai detto gia’ 
le bugie non invecchiano 
sulle tue labbra aiutano 
tanto poi 
è un’altra solitudine specchiata 
scordiamoci di attendere 
il volto per rimpiangere 
Parla ancora e poi 
dimmi quel che non mi dirai 
versami il veleno di 
quel che hai fatto prima… 
su di noi 
il tempo ha gia’ giocato ha gia’ scherzato 
ora non rimane che 
provar la verita’ 
Che ti da’ che ti da’ 
nascondere negli angoli 
dire non dire 
il gusto di tradire una stagione 
sopra il volto tuo 
pago il pegno di 
volere ancora avere 
ammalarmi di te 
raccontandoti di me 
Quando ami qualcuno 
meglio amarlo davvero e del tutto 
o non prenderlo affatto 
dove hai tenuto nascosto 
finora chi sei? 
cercare mostrare provare una parte di sé 
un paradiso di bugie 
La verita’ non si sa non si sa.. 
come riconoscerla 
cercarla nascosta 
nelle tasche i cassetti il telefono 
che ti da’ che mi da’ 
cercare dietro gli angoli 
celare i pensieri 
morire da soli 
in un’alchimia di desideri 
sopra il volto tuo 
pago il pegno di 
rinunciare a me 
non sapendo dividere 
dividermi con te 
Che ti da’ che mi da’ 
affidarsi a te non fidandomi di me.. 
Sopra il volto tuo 
pago il pegno di 
rinunciare a noi 
dividerti soltanto
nel volto del ricordo.

martedì 31 agosto 2010

Io non lo so.


Inutili le resistenze.
Initili le illusioni.
Io non sono all’altezza di quell’ombra di paglia che ho faticosamente ammucchiato per anni,lì,in un angolo,pronta sempre a ricordami…a ricordarmi cosa? Chi non sono? Chi non potrò mai essere? Chi disprezzo? Sì,perché si disprezza ciò che non si riesce a toccare. Si odia ciò che è a noi superiore. Perché ci ricorda la nostra “pochezza” interiore,le terre bruciate che abbiamo tentato di coltivare,che non saranno mai fertili.
Si cresce con la convizione di avere un qualche talento,un qualcosa verso cui tendere,una strada da raggiungere e seguire. Falsità! Non è per tutti nè l’arrivo né la partenza.
La verità è che mi sono persa,rincorrendo per tutta la vita quell’ombra.
Non ho amato,non ho goduto,non ho vissuto.
Come si finisce ad amare il sé stessi che non si è ?
La vedo costantemente,negli occhi degli altri,nei miei occhi,davanti ad uno specchio,abile buffone.
Eppure la mia pelle lo sa,lo sente:quella che vedo non sono io. Anche ai tuoi occhi ho mentito,giurando il contrario. Non farmene una colpa,credevo ingenuamente di essere sincera.Lo so. Continuo a mentire:è un bisogno carnale,irrinunciabile. E’ il mio nutrimento.
Risalire verso la mia immagine esterna,come cibo che non trova più posto nelle viscere.
Vomitare me,all’esterno.
Rendermi visibile.
E se non fossi nemmeno Lei?E se non fosse nemmeno mia la mano di Colei che non si riconosce in quell’ombra?
Dove sono?
Che senso ha scrivere in prima persona,parlare in prima persona,pensare in prima persona- “io…io…io”-se poi non so nemmeno chi è quell’ “io” che urlo,che ho preso in prestito per trovare un corpo in cui vivere,fingendo?
Forse dovrei scavare,con le mie mani,quelle  sconosciute,nude.
Ma non ci riesco.
Sono stanca,di una stanchezza che paralizza persino il pensiero.
Dite a me stessa che ho paura:si rifiuta di sentirmi.

lunedì 16 agosto 2010

Esperienza della morte.

Nulla sappiamo di questo svanire
che non accade a noi. Non abbiamo ragioni
- ammirazione, odio oppure amore -
da mostrare alla morte la cui bocca una maschera

di tragico lamento stranamente sfigura.
Molte parti ha per noi ancora il mondo. Fino a quando
ci domandiamo se la nostra parte piaccia,
recita anche la morte, benché spiaccia.

Ma quando te ne andasti, un raggio di realtà
irruppe in questa scena per quel varco
che tu ti apristi: vero verde il verde,
il sole vero sole, vero il bosco.

Noi recitiamo ancora. Frasi apprese
con pena e con paura sillabando,
e qualche gesto; ma la tua esistenza,
a noi, al nostro copione sottratta,

ci assale a volte e su di noi scende come
un segno certo di quella realtà;
tanto che trascinati recitiamo
qualche istante la vita non pensando all'applaus
o.

sabato 14 agosto 2010

Infinità.


"Ti ho aspettato fino a dimenticare cosa. Mi è rimasta un'attesa nei risvegli, saltando giù dal letto incontro al giorno. Apro la porta non per uscire, ma per farlo entrare".