giovedì 15 luglio 2010

Il "nessuno" di tutti.

Sono diventato una figura da libro, una vita letta. Quello che sento senza volerlo lo sento per poter scrivere di averlo sentito. Quello che penso diventa subito parole, si mescola con immagini che lo disfano, si apre in ritmi che sono un’altra cosa. A forza di ricompormi mi sono distrutto. A forza di pensarmi, io sono ormai i miei pensieri e non più io. Ho sondato me stesso e ho lasciato cadere la sonda; vivo pensando se sono profondo oppure se non lo sono, senz’altra sonda, ormai, al di là del mio sguardo che mi mostra con chiarezza in nero, nello specchio del grande pozzo, il mio volto che mi contempla nell’atto di contemplarlo.

Come se esistesse un altro sé, come se fossimo immagine riflessa, in questo continuo gioco di rimandi può capitare di non vivere più. Si diventa fragili frasi incise su carta, personaggi e non più persone, ogni sentimento è vissuto attraverso il filtro della narrazione. Ci si vede incastonati in belle parole che ci rappresentano, ma che non possono mai essere veramente. Si vive una vita per procura, nell’attesa del cambiamento, nell’attesa che tutto si compia o che finalmente finisca. Ma esiste qualcosa che davvero ha termine? l'ingranaggio che ci ingloba prescinde da qualsiasi forma di volontà, è un continuo fluire il cui inizio si è ormai sbiadito nel ricordo e che non può finire perché proseguirà nel sogno di qualcun altro. Nessuna pace possiamo conoscere, perfino il sonno, che è una caricatura della morte, diviene tormento, susseguirsi di immagini, ombre notturne, errori che perseguitano, eco di voci senza forma.

Sono una specie di carta da gioco dal seme antico e sconosciuto sopravvissuta al mazzo perduto. Non ho alcun senso, non conosco il mio valore, non ho nulla a cui mi possa paragonare per potermi trovare, non ho nulla a cui possa servire per potermi conoscere. E così, attraverso le immagini successive con le quali descrivo me stesso (non senza verità, ma con menzogne), io vado vivendo nelle immagini più che in me, raccontandomi fino a scomparire, scrivendo con l’anima come se fosse inchiostro: un’anima che ha la sola utilità di servire a scrivere. Ma questa reazione cessa, e mi rassegno di nuovo. Torno a ciò che sono, anche se non è nulla. E una sorta di lacrime senza pianto bruciano nei miei occhi sbarrati, una sorta di angoscia che non c’è stata mi gonfia aspramente la gola secca. Ma, ahimè, non so che cosa avrei pianto se avessi pianto, né perché non ho pianto. La finzione mi accompagna come la mia ombra. E l’unica cosa che voglio è dormire.

F.Pessoa

Nessun commento:

Posta un commento